Ecco come vede oggi la situzione in America's Cup Vincenzo Onorato, velista e armatore, patron di Mascalzone Latino .

Onorato, come giudica l'evento allestito da Louis Vuitton in Nuova Zelanda?
«Bisogna dar merito a Louis Vuitton di aver messo in piedi queste Pacific Series. Certamente Louis Vuitton incarna oggi lo spirito della Coppa America ben più di Alinghi. Sotto questo punto di vista, c'è una titolarità fatta di storia, tradizione e passione che Alinghi nemmeno può sognare. A me dispiace moltissimo non partecipare (per mancanza di sponsor, ndr), è una spina nel cuore. Purtroppo è un evento che costa un sacco di soldi, malgrado Louis Vuitton abbia compiuto uno sforzo enorme per abbassare i costi».

Allora come vi state allenando in vista della prossima Coppa America?
«Sono un velista da quando avevo 14 anni. Continuo a regatare come timoniere nel circuito internazionale Farr 40. Sono appena tornato dall'Acura Key West Race Week (negli Stati Uniti, ndr) che con grande soddisfazione il team di Mascalzone ha vinto. La vela va dal windsurf alla Coppa America con tutto quello che c'è in mezzo, anche se quella più d'immagine e prestigiosa rimane l'America's Cup».

Che cosa accadrà se la sentenza definitiva sarà favorevole ad Alinghi?
«Una vittoria di Alinghi sarebbe un disastro. Rafforzerebbe notevolmente la sua posizione: avremmo di nuovo un protocollo - cioè il corpo di norme che regola la Coppa - assolutamente anti sportivo, così com'era stato presentato in prima istanza. Bisogna capire la natura di questa vicenda, che è puramente economica. C'è poco di sportivo nell'atteggiamento di Alinghi, ma solo la volontà ferrea di detenere questo trofeo per gestirlo».

E se invece fosse Oracle a prevalere in tribunale?
«Se vincesse Oracle si andrebbe sicuramente verso una sfida su catamarani tra americani e svizzeri. Poi il verdetto verrà dal mare: sperando ancora che vinca Oracle, si tornerà poi a una Coppa multi challenger con delle regole molto più sportive, conoscendo le persone che sono dietro a Oracle, cominciando da Russel Coutts, Tom Ehman e lo stesso Larry Ellison».

Lei ha usato l'espressione "Coppa Alinghi" per denunciare le regole anti sportive del protocollo redatto dagli svizzeri, però ha iscritto Mascalzone all'evento: perché?
«L'ho spiegato così ai miei amici e anche ai miei figli: un cittadino è tenuto a rispettare le leggi, non a condividerle. Per partecipare al gioco bisogna accettarlo e magari contestarlo. La diversità d'opinioni fa parte del processo democratico. Quello che vuole stabilire Alinghi in Coppa America è un regime. Vorrei comunicare la fotografia non solo del velista ma anche dell'imprenditore. Tutta la vicenda sta assumendo contorni surreali. Si organizzano le riunioni per stabilire la nuova classe di barche. La mia domanda è: in questa congiuntura economica, dove sono gli sponsor per sostenere i costi elevati per progettare e costruire nuovi scafi? O il signor Alinghi (Ernesto Bertarelli, ndr) viaggia in una dimensione surreale, o bisogna pensare di correre un'altra edizione con le barche vecchie».

Quali conseguenze ha prodotto sugli sponsor la situazione di stallo in cui versa la Coppa ormai da molti mesi?
«C'è un mix di sinergie negative. La Coppa in tribunale allontana sistematicamente gli sponsor. Sono grandissime aziende che hanno bisogno di visibilità e accredito a livello planetario, su un mezzo che ha dei valori ecologici e sportivi, che ha un fascino e un'istituzione. Queste caratteristiche mal si sposano con un evento che oggi è finito in tribunale. Il secondo fatto, che rende esponenziale il problema, è la crisi economica mondiale. Gli sponsor sono per esempio le banche e le case automobilistiche. Andiamo insieme io e lei a caccia di finanziatori domani mattina: a chi ci rivolgiamo? ».

Alinghi sembra aver ottenuto un certo consenso per la sua visione dell'evento, poiché tra i 19 team iscritti figurano squadre - ad esempio New Zealand e Luna Rossa - che avevano criticato le mosse di Bertarelli. Oracle sembra invece più isolato. Come si è arrivati a questo punto?
«Ho impiegato del tempo per capirlo e alla fine sono arrivato a questa conclusione. In Coppa America abbiamo assistito a un'evoluzione: prima era fatta da quelli che sono definiti i patron dei team. Ci sono quelli ricchissimi come Bertarelli ed Ellison, quelli storici come Raoul Gardini e Patrizio Bertelli e quelli meno ricchi come me, ma sempre animati da un autentico spirito e dalla passione. Negli ultimi anni questo sta cambiando, queste figure diventano un po' superate dai tempi. Le squadre sono formate da velisti professionisti che non sono interessati all'evento sportivo ma ai soldi che la Coppa porta. Un velista guadagna in un mese di Coppa quello che riceve in un anno e mezzo d'attività sportiva».

Il defender ha modificato in parte le regole del protocollo originario, in base alle richieste degli sfidanti: quali sono, secondo lei, i punti tuttora controversi? Quale via bisognerebbe seguire per salvare il trofeo?
«Non è cambiato niente. Alinghi si riserva il diritto di scegliere tutto, dal comitato di regata agli arbitri. Perciò il nostro sostegno per Oracle è forte e deliberato. Una Coppa in queste condizioni non è interessante. La prova del fuoco per la cattiva fede di Alinghi è che basterebbe ripresentare il vecchio protocollo e tutto sarebbe risolto, ma ormai è troppo tardi. Il defender ha sempre avuto dei vantaggi. Quelle che erano posizioni rigide o discutibili dei defender americani passati, però, sono puerili rispetto al protocollo di Alinghi, che sancisce l'impossibilità di vincere la Coppa».
Mascalzone sarà sempre tra gli sfidanti, anche in caso di vittoria di Alinghi in tribunale?
«Nella vita bisogna essere animati dall'ottimismo, anche se con i piedi per terra. Voglio sperare che la Corte Suprema di New York sancisca i diritti di Oracle e quindi anche i nostri. Se vincerà Alinghi, non credo che ci sarà più la Coppa America ma un'altra cosa».

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